Nella brochure che introduce alla mostra odierna, peraltro corredata da bellissime poesie di Vincenza Fava e Ivonne Bianco, ci viene fornita, con equilibrati accenti e un tono ispirato, una possibile chiave di lettura dell’orizzonte operativo di Mirna Manni. Credo di poterne individuare la sostanza in una sollecitazione esistenziale, con ogni conseguente problematicità, che da sempre informa la ricerca artistica di Mirna. Una ricerca condotta all’insegna di forti connotazioni concettuali qualificate da una profonda sacralità, colta nel ciclo dell’esistenza che va dall’arco germinale della nascita al momento conclusivo della vita che è la morte.
E’ un percorso intriso di molteplici sentimenti , alcuni dei quali sono come costeggianti i limiti confinari dell’esistenza , mentre in altri ci si trova immersi con la durezza del vissuto di prima mano. Come la perdita di un parente stretto. Esperienza che Mirna ha dolorosamente attraversato di recente in conseguenza del definitivo distacco dalla madre.
In questo percorso, caratterizzato da misteri ed enigma, per penetrare nei quali si richiede un impellente e continuo aggancio di concretezza, la ceramica, cioè il primario materiale offerto dalla terra, consente di apparecchiare gli strumenti per accostarsi, con la seppur remota, ma, in ogni caso, legittima speranza di conoscenza, al mistero dell’esistenza formulando un apparato linguistico di comunicazione anche dalle alte valenze simboliche come griglia, ambito di domande e di possibili risposte.
Mirna tende, quindi, a costituire una globalità intenzionale che si riflette nei modi, o meglio, nella modulazione espressiva.
In primo luogo, vengono chiamati in causa le categorie dello spazio e del tempo che, come è ben noto, hanno costituito lo stigma problematico, il terreno di coltura della ricerca dell’arte moderna e che, come un inestinguibile sciame speculativo, continuano ad imporsi in ogni azione, atto del contemporaneo artistico.
I procedimenti installativi, i più generali livelli di operatività ambientale, si inseriscono i questo quadro che definirei globalizzante.
Questo vuol dire che la galleria da luogo di accoglienza indifferenziato, viene assunto e indotto a spazio sperimentale di eventi, proiezione di un operare e di una ricerca che ha quale finalità, oltre a quella intrinseca e specifica, anche il coinvolgimento totale, in una innovazione di ruoli rispetto al passato che era caratterizzato dall’autoritarismo dell’artista e dalla relativa passività dello spettatore.
Mirna ha rotto il circuito delle gerarchie. Correndo il rischio di mettere a nudo sentimenti, moti interiori, privatissime sensazioni, trasforma lo spazio della galleria in luogo dell’anima, proponendo frammenti significativi del reale del quale fornisce alcuni dei possibili e innumerevoli dati. Istituisce, così, una situazione comunicativa che legittima l’operazione salvaguardandola da una bassa spettacolarizzazione.
E’ il caso di sottolineare che le caratteristiche testè richiamate, cioè sacralità, germinazione, scelta dei materiali funzionali alle esigenze di una specifica espressività, sono state perseguite da Mirna che si è mossa sempre all’insegna di una permanente ritualità cogliendo le forme canoniche del suo manifestarsi, in primo luogo, attraverso l’evento iconico assunto nella strutturazione totemica conseguita per assemblaggio di moduli offerti dalla natura o ad essa riconducibili.
Di qui deriva quella positiva ambiguità che consente molteplici letture ben evidenziata nel presente evento espositivo articolato nell’installazione costruita con i lacerti di un mondo oggettuale riconoscibile. In ogni caso, la denominazione dell’opera nell’impatto della lettura visiva dirotta verso altre dimensioni. I bozzoli assemblati , pur non negando la loro natura di transito vitale, danno luogo ad una situazione altra, come quella della marcia, del corteo.
E’ un esempio, questo, dimostrativo di come l’opera d’arte può avvitarsi in sé stessa e produrre eventi e suggestioni virtualmente infiniti. Mirna espone il dato indiziario. Al pubblico coglierne tutte le valenze con la specifica intelligenza da cleptomane.
Credo che questo modulo interpretativo può essere applicato alle altre opere: alle scatole quale cerchio magico del bianco e nero, suscettibile di infinite letture. Positivo negativo, vita morte in un gioco sterminato di corrispondenze e contraddizioni da cogliere, in via primaria, tra il trattamento della materia, la sua formulazione. Poi, ma non infine, la sua scansione formale che, in fondo , è il primo livello di pertinenza dell’artista perché l’altro, come prima ricordato, è affidato alla responsabilità, alla disponibilità, alla, a volte sofferta, acutezza interpretativa del fruitore.